martedì 10 gennaio 2012

Vendetta! Un piatto che si gusta freddo: una mostra da mangiare...ma con attenzione!

dal blog Culturanatura di Fortunato D'Amico
http://www.lastampa.it/culturanatura

Vanni Cuoghi, Davide Oldani, Igor Zanti, intervistati nella primavera del 2011, da Fortunato D'Amico, seduti al tavolo del D'O, il ristorante di Davide Oldani a Cornaredo.



E' finita. Cenoni, pranzi, brindisi e panettoni hanno ancora una volta segnato i festeggiamenti tra Natale e l'Epifania. Quest'anno i menù sono stati sobri, essenziali, a causa della crisi in corso.
Il primo decennio del terzo millennio ha portato una consapevolezza diversa sulle tavole degli italiani, ma anche in quella delle famiglie europee che hanno riscoperto il gusto dell'orto in città o delle piante alimentari coltivate nei vasi in cortile o sui balconi dei condomini. Rassegne dedicate al rapporto tra architettura, agricoltura e alimentazione, hanno riempito gli spazi  delle riviste specializzate, ma anche quelle dei periodici generici e modaioli di solito propensi a presentare il cibo nelle sue forme estetiche, fondamentalmente poco etiche.  Le mostre del settore architettura hanno proposto i nuovi edifici progettati per il futuro imminente; tipologie alte e basse che prevedono soluzioni con l'orto in casa per una cucina ritornata ad accorciare la filiera tra consumo e produzione. Il 2011 ci ha anche regalato una bellissima stagione dell'arte, svolta in particolare negli spazi poco istituzionali, dove l'incognita del nutrimento per tutti in un pianeta sempre più affamato è anche in questo caso salita alla ribalta, forse anche a causa del proclamato Expo 2015, di cui però ancora poco si è parlato, che sarà ospitato a Milano.
E già, perché il tema proposto è "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita"... ed inaspettatamente  si ritorna a parlare di cibo e ambiente. Una vendetta contro le multinazionali dell'alimentazione? Forse. Ma nel passato 2011, sempre a Milano, una curiosa mostra d'arte si è manifestata negli spazi della Galleria Bianconi, all'inizio della primavera, subito  dopo le fitte nebbie invernali ritornate a soggiornare nei freddi inverni della metropoli meneghina.
Tra le tante dedicate al food questa mostra, ha saputo riaprire un dialogo tra momenti di conoscenza differenti, diremmo multidisciplinari, che gravitano attorno al tema dell'alimentazione e della cultura. Lo ha fatto in una maniera simpatica ed un'impostazione di metodo capace di coniugare le visioni di tre esperti: il cuoco Davide Oldani, l'artista Vanni Cuoghi, il critico d'arte Igor Zanti.
”Vendetta! Un piatto che si gusta freddo”è una cena imbandita nella Galleria con 12 pietanze +1, dove l'ingrediente principale è la vendetta. I piatti sono stati progettati dallo stesso Oldani e  dipinti da Vanni Cuoghi con soggetti mitologici e di costume dove gli interpreti invertono i loro ruoli storicizzati: da antagonisti a protagonisti e viceversa. Tra questi Arianna e il Minotauro, il Papa e Catellan, Remo e Romolo, e altri personaggi di acclamata notorietà. I piatti al loro interno ospitano le  materie prime di celebri ricette di Davide Oldani, sospese in una “teca” di gelatina di brodo.
Come scrive il curatore Igor Zanti Igor Zanti, “La scelta di coinvolgere due personalità così differenti, che si muovono in seno a media creativi molto distanti tra loro, è motivata da una riflessione sulla necessità di abbattere le tradizionali barriere tra i linguaggi, necessità che è espressione ultima di una evidente e costante rivoluzione che coinvolge la creatività contemporanea."

Vanni Cuoghi, Davide Oldani, Igor Zanti, intervistati nella primavera del 2011,
da Fortunato D'Amico, seduti al tavolo del D'O, il ristorante di Davide Oldani a Cornaredo.

Fortunato D'Amico:  Il tempo dell'arte è quello della cucina?

Vanni Cuoghi: L’arte contemporanea ha bisogno di più tempo, invece credo che la cucina sia un sistema di accesso immediato.

Igor Zanti: Si, ma come puoi giudicare un disegno e poi confrontarlo con quello di una bambina? In ogni caso si tratta di "raffinare il gusto".

Davide Oldani: Però il gusto ce l’abbiamo tutti, ed è già dentro di noi; nel tempo lo puoi raffinare. Per quanto mi riguarda la cucina è un’arte a termine: una volta che l’hai mangiata è finita. Un quadro se persisti a guardarlo per anni, continui a trovargli nuovi significati.

Vanni Cuoghi:La cucina suscita il ricordo. Per esempio - rivolto a Davide Oldani - venni a mangiare qui  nel tuo ristorante quando ancora non ci conoscevamo e mi è rimasto  un grande ricordo di quella sera, naturalmente legato al cibo ed ai suoi sapori.
Certo, è qualche cosa che ha bisogno di essere rinfrescato; quando assapori una cosa, è vero che è effimera, ma poi il tempo la consolida e la radica nella memoria.

Igor Zanti: Quando mangi delle cose, queste ti riportano delle sensazioni.

Davide Oldani: Si se la cucina è buona... si; poi molte volte ci si nutre e basta e quindi bisogna scindere le due cose. Comunque la cucina è l’unica cosa che ti fa vivere, ti nutre, ti fa formare il corpo, procreare; quindi è una cosa di cui usufruisci oppure la puoi vivere con i ricordi, ma questo ti fa morire, perché muori di fame...ahahah.
Questo quadro invece è un ricordo di cui so di non poter vivere, perche non mi nutre, ma al contrario nutre e stimola l’intelligenza, le sensazioni, le emozioni, tutte quelle cose che non hanno a che fare con la bocca.
 
Fortunato D'Amico: L’arte visiva sollecita i ricordi perché la vedi. L’arte olfattiva sollecita la memoria. La scultura sollecita sia la parte visiva che quella tattile. La musica sollecita l'udito. Tutte queste s’incontrano in un certo punto: quello dove avete cucinato i vostri piatti della vendetta. Possiamo pensare che l’arte sia una serie di percorsi di sensi?

Davide Oldani: Per quello che mi riguarda rimango dell’idea che la mia è un’arte effimera.  Posso fare la stessa cosa e provare in giorni diversi, ma non ho mai lo stesso risultato. Ad esempio: se sono stanco o sto bene percepisco nel mio palato più o meno il gusto salato. Anche lo zucchero ha  gusti o sapori che percepisci in relazione allo stato d’animo; per questo dico che la cucina è un'arte effimera, perché la cipolla caramellata che mangi oggi è forse peggiore di quella di ieri, ma può essere migliore perché magari i ragazzi che cucinano stanno meglio di ieri. Bisogna identificare cosa vuol dire arte. Per quello che mi riguarda avvicinarmi all’arte è sempre stata una cosa davvero strana perché  ho sempre detto:  la mia è arte effimera quindi non è arte ma solo artigianalità; cucinare è una manualità costante che deve essere pronta e sul pezzo quotidianamente.
 
Fortunato D'Amico: Ma allora tra un musicista e te che differenza c’è? Tra uno spartito e i tuoi piatti?

Davide Oldani: Il musicista mi dà sempre le stesse emozioni perché se io ascolto il disco registrato  riascolto la stessa musica senza variazioni. E' così anche  guardando un quadro anche se poi probabilmente le impressioni nel tempo cambiano.
L'avvicinarmi all’arte è stato un episodio casuale; mi sono avvicinato perché mi hanno servito sul piatto di porcellana una cosa "buona".
In questa occasione ho avuto  l’idea di abbinare qualcosa de "La mia cucina Pop" (libro scritto da Oldani) al piatto di giada “Land”, da me progettato con il piano del fondo inclinato per poter raccogliere meglio le minestre. Così ho potuto accompagnare Vanni Cuoghi  in questo progetto; ma se avessi dovuto fare  l’ennesimo cuoco che deve parlare d'arte...

Igor Zanti:Lui (Davide Oldani) non vuole ammetterlo, ma per quanto la cucina sia un arte effimera, ha un atteggiamento artistico di progettualità e costruzione. In fin dei conti anche della performance non rimane nulla: le sue sono performance. L’atteggiamento con cui imposta la ricetta ha una movenza artistica e la divisione tra arte e artigianato è una enunciazione solamente settecentesca approdata con le enciclopedie. La cucina è sempre stata considerata un’arte come lo è la pittura e l’alchimia.
 
Fortunato D'Amico: Vanni: decadute le committenze storiche, nell'epoca moderna fare il pittore è un mestiere quasi sempre da "solitari".
In questo caso, invece, il progetto prevedeva l'interazione con altri linguaggi e scrittori di storie che sollecitano ulteriori sensi, oltre a quello della vista. Un lavoro dove era indispensabile confrontarti e modificare il proprio punto di vista.

Vanni Cuoghi: Nell'arte, si parte sempre da un'idea, ma in corso d’operaricevi suggerimenti e sollecitazioni che ti portano a modificare quello che stai facendo.In un progetto è l'idea che cerco di applicare ma se le sollecitazioni mi propongono degli aggiustamenti di rotta penso sia giusto seguirli. Il lavoro con Davide è nato anche in questo modo.

Fortunato D'Amico: Ma qui il compito del pittore non era facile. Dentro ogni piatto Davide ha messo dei materiali diversi, generi alimentari in gelatine di brodo. Come avete fatto ad integrare i vostri percorsi?

Vanni Cuoghi: Non sapevo cosa Davide mettesse in queste gelatine ma la cosa meravigliosa è che un giorno quando è finita la mostra, sono andato a fare un giro e ho visto queste gelatine e questi materiali sospesi.  Davide ha cominciato a raccontarmi come le aveva create e così ho iniziato a vedere che nel piatto in cui c’era Remo che si vendicava contro Romolo e si assisteva alla nascita di Roma, era stata messo nel brodo di gelatina la puntarella.  Mi sono detto: "incredibile, che sia stato studiato o che sia  finito lì per caso?". E' un'altra storia. Io sono un ricercatore di storie e il lavoro con Davide me ne ha suggerite tante. Credo che il progetto vada inteso così.

Fortunato D'Amico: Se le storie si raccontano ci vuole qualcuno che le ascolti; il cibo si cucina e c'è qualcuno che lo mangia?

Vanni Cuoghi:Io credo che l’artista che dice: "lavoro solo e per me stesso" sia un inganno.
 In realtà l'arte è un linguaggio e nel momento in cui tu parli c’è un emittente ed un ricevente. Poi ci sono delle situazioni in cui le persone fanno delle cose per se stessi.
Fare i quadri per me significa  qualcosa che faccio per me, ma che voglio che vengano visti da altri.

Fortunato D'Amico: Davide: come si cucina un quadro?

Davide Oldani: Non mi piace vedere il cuoco che fa il pittore, artista nelle cose che non gli appartengono. Il progetto era quello di mettere la stagionalità nel piatto, quindi in questi dodici abbiamo messo dentro le stagioni. C’era  ancora un piatto vuoto da riempire, è quello che ho riservato al mio maestro Gualtiero  Marchesi (...la mia vendetta).
La vendetta più brusca è stata quella contro il galateo che consiglia di avanzare qualcosa nel piatto: con l'inclinazione del piatto "Land" che ho progettato è facile raccogliere  con il cucchiaio tutto il brodo della minestra senza avanzarne e senza dover alzare il piatto, gesto assolutamente non accettato dal galateo.Questa parte del mio lavoro la considero la parte artistica.

Fortunato D'Amico: Possiamo dire che è la parte etica?

Davide Oldani: Sull’etica in cucina sto preparando u libro…

Vanni Cuoghi: Però anche la posata che Davide ha progettato è una posata etica, sono tre posate in una, cucchiaio, forchetta e coltello, questo consente di risparmiare sulle stoviglie e sulla lavastoviglie.
D: Faccio tutte queste cose per dare semplicità e non banalità al mio ospite e quindi abbinarmi all’arte, cosa fino ad un anno fa impensata, era proprio fuori dai miei canoni.

Fortunato D'Amico:Sono dodici piatti avete detto, ogni piatto una vendetta, quindi ogni vendetta è associata ad una stagionalità, come avete fatto a trovare questi rapporti?

Igor Zanti:E’ nata prima questa idea della vendetta, poi si è unita quella dei dodici piatti, il cui riferimento è l’ultima cena e il tredicesimo piatto bianco rappresenta la vendetta impossibile ovvero Cristo che non si può vendicare, infatti la vendetta impossibile è il perdono. Per Le dodici vendette abbiamo usato questa presenza storia e religiosa, sei sono Ante Cristo e sei sono Post Cristo.
Abbiamo messo in mostra chiamiamole istallazioni di cibo in cui la gelatina diventa la teca, quindi contestualizza l’elemento cibo dall’essere solo cibo e abbiamo deciso di giocare sulla stagionalità essendo una delle caratteristiche della cucina di Davide, facendola diventare arte: non c’è stata violenza, anche non voluta da parte nostra su Davide, lui ha fatto la sua arte nell’ambito della sua arte nella sua dimensione, con i suoi codici, e non scimmiotta l’arte figurativa, la scultura o altre arti.

Fortunato D'Amico:Il rapporto con la mitologia, Teseo e Arianna, come avete fatto ad inquadrarli stagionalmente?

Igor Zanti: Questa è stata una scelta di Davide di ispirazione sugli ingredienti, abbiamo lavorato su due piani differenti, da una parte la mitologia e il tema storico, dall’altra parte la scelta sulla stagionalità, i quali si sovrappongono.

Davide Oldani:Ecco la parte un po’ meno pensata per quello che mi riguarda è stata il fatto di aver messo i cibi in quel determinato modo nei piatti, perché il mio intento era l’altro che ho spiegato poco fa.
L’abbinamento l’ho accettato perche a me piace molto il surrealismo; ho scoperto Salvator Dalì in cucina, sentendo parlare di questo artista da due miei colleghi. Sono andato al museo, ho comprato i libri e ho capito che persona incredibile fosse; è la crosta dell’io che mi piace, che mangio tutti i giorni che tocco e cucino.

Vanni Cuoghi: Certo c’è da dire come nel surrealismo esisteva questa immagine del cadavere squisito, venivano realizzati  fogli in cui si disegnava un pezzo e un'altra persona continuava il disegno senza vederlo, solo sulla base di due o tre righe; alla fine quando si srotolava il foglio si svelava  l’opera, realizzata a 4, 6, e più mani. Ecco, credo che la nostra collaborazione sia stata impostata in questi termini. Io fatto una cosa legata al mio mondo, lavorando con la maiolica che non ho mai usato prima d’ora; lui ha fatto il suo e alla fine sono nate queste storie.
Ad esempio quella di San Giorgio e il drago dove Davide ha utilizzato una coda di acciuga, ed ho pensato: “che meraviglia, c’è come un filo invisibile che lega tutte le storie creandone altre e dando origine a nuovi, cadaveri squisiti”.

Fortunato D'Amico: Davide, sei stato invitato anche all'ultima Biennale d’Architettura a Venezia. Sei richiestissimo. A che cosa attribuisci il tuo successo?

Davide Oldani: Vivo intensamente questa vita e le cose che mi piacciono.  Ricordo  Gualtiero Marchesi che vent’ anni fa disse a mio padre, il mio primo giorno di lavoro: “questi ragazzi sono come delle spugne che assorbono, assorbono, assorbono e prima o poi cominceranno a rilasciare”. Evidentemente è arrivato il momento in cui sto cominciando a rilasciare tutto quello che ho imparato, non riesco a tenermi dentro niente. Se ho in mente un idea non mi ferma nessuno; in un modo o nell’altro ci devo arrivare: le sedie,  il tavolo, quattro libri, tutto questo l’ho fatto perché ci ho creduto. Probabilmente lo avevo dentro e ora che non dipendo più da gli altri ho potuto fare tutto questo. Mi piace molto osservare. Si cresce  perché si guarda gli altri, i loro comportamenti, i movimenti.
Sto preparando questo libro che interessa l’etica nel mondo della cucina; non è un libro di ricette ma ha come intento di ripristinare i valori che si sono persi. Per innovare è necessari stabilire un legame etico con le proprie radici.

Fortunato D'Amico:Vanni:Come si coniugano estetica ed etica nell'arte?

Vanni Cuoghi: Per fare questo lavoro devi avere un’etica prima nei tuoi confronti; se non sei profondamente innamorato di ciò che fai forse non conviene neanche farlo. Io ho un passato come decoratore un mestiere dove sei indirizzato dalle richieste della committenza. Certo ci mettevi del tuo però molte volte dovevi fare delle cose anche contrarie al tuo modo di intendere. Il motore propulsivo del lavoro dell’artista è che devi essere innamorato, la pittura è un gesto d’amore: se non hai questo tipo di spinta rischi di fare della decorazione o qualcosa che magari può essere gradevole. Puoi essere un grande ingannatore e raccontare agli altri che sei un bravo pittore, ma la storia  svelerà che in realtà stai raccontando una bugia; in termini di etica e pittura questo deve essere il primo passo. Poi credo che un artista debba essere onesto nei confronti delle persone che stanno osservando e godendo della tua opera. Il primo passo è amare quello che fai. Quando sei convinto di questo automaticamente c’è la traslazione, ovvero: nel momento in cui qualcuno sta guardando la tua opera gli stai dando un pezzo di te. Considero davvero i miei quadri i miei bambini, li conosco uno per uno, so dove sono, e so dire misura, formato, titolo e anno, perché sono venuti fuori da me.

Davide Oldani:Quando dici che si può mascherare decorando, lo stesso è per i cuochi che utilizzano la decorazione,  è un po’ un vecchio metodo che ora si sta dissolvendo ma ci sono ancora cuochi che usano i diminutivi in cucina, nelle ricette,e sono tutti quelli falsi, che poi cadono.

Fortunato D'Amico: Sono esteti e non sono etici?

Davide Oldani: No neanche, un esteta vuol dire che premia la parte estetica

Fortunato D'Amico: Senza l’etica però, dovrebbe esserci scritto "ex-etica". Come  processo logico si deve prima passare dall’etica e poi dall’estetica

Davide Oldani: Impari l’etica e poi fai l’estetica; prima la base solida e poi ti metti a decorare qualcosa che però è vero.
La mia diventa estetica perché prima è stata etica: nel mio piatto c’è l’estetica attuale, infatti i piatti li decora la stagione. Se mangiate qui nei piatti di oggi i piatti c’è in due terzi un verde appena chiaro e qualcuno un po’più scuro; perché la primavera mi ricorda fave, piselli, ortiche..tutti alimenti verdi. Se venite qui tra due mesi ci saranno colori più rossi, più arancioni, un verde un po’ più intenso…cambia l’estetica  a seconda di quello che la stagione mi offre; non c’è decorazione ma colore reale.

Vanni Cuoghi: Prima utilizzavi il termine “do”, che sarebbe io do agli altri, e mi è tornata in mente  la facciata della chiesa qui davanti al tuo ristorante.
E’ una chiesa molto antica che si trova sulla via di congiunzione tra Milano e Torino; sulla facciata della sono murate 4 coppelle, quelle 4 ciotole che si chiamano pattere; simboleggiavano i posti in cui si accoglievano i pellegrini che si muovevano lungo questo pezzo della via francigena e si dava loro un pasto caldo e un posto da dormire.

Fortunato D'Amico: La figura del critico dovrebbe avere una funzione diversa di quella adottata da molti dagli anni ottanta a oggi?

Igor Zanti: Basta cambiare il punto di vista, questo è un discorso in generale in senso di critica, secondo me dagli anni ‘80 ad adesso, ma anche dagli anni ‘60 c’è una scuola critica in cui si sono impostati certi linguaggi, in cui c’è sempre stata paura di semplificare, c’è la semplificazione, anche a livello tecnico, basta leggere i testi dei critici degli anni ‘70 che parlavo di un’arte ancora più criptica.
Bisogna cambiare semplicemente il punto di vista, non aver paura di non essere intellettuali, perché talvolta si è più intellettuali quando non si è intellettuali, quando si va alla radice delle cose e non si va sulla costruzione. Davide parlava di decorazione del piatto: certe letture critiche sono la decorazione dei piatti dell’arte, però talvolta non c’è la pietanza. Il piatto, come diceva lui, si decora con gli ingredienti, e qui l’ingrediente è l’arte, non devi usare la fogliolina di menta o il pomodorino a forma di rosa per decorare il piatto, devi usare gli ingredienti che sono nel piatto stesso e quindi basta cambiare il punto di vista, semplicemente.