dal blog Culturanatura di Fortunato D'Amico
http://www.lastampa.it/culturanatura
Vanni Cuoghi, Davide Oldani, Igor Zanti, intervistati nella primavera
del 2011, da Fortunato D'Amico, seduti al tavolo del D'O, il ristorante
di Davide Oldani a Cornaredo.
E' finita. Cenoni, pranzi, brindisi e panettoni hanno ancora una volta
segnato i festeggiamenti tra Natale e l'Epifania. Quest'anno i menù sono
stati sobri, essenziali, a causa della crisi in corso.
Il primo decennio del terzo millennio ha portato una consapevolezza
diversa sulle tavole degli italiani, ma anche in quella delle famiglie
europee che hanno riscoperto il gusto dell'orto in città o delle piante
alimentari coltivate nei vasi in cortile o sui balconi dei condomini.
Rassegne dedicate al rapporto tra architettura, agricoltura e
alimentazione, hanno riempito gli spazi delle riviste specializzate, ma
anche quelle dei periodici generici e modaioli di solito propensi a
presentare il cibo nelle sue forme estetiche, fondamentalmente poco
etiche. Le mostre del settore architettura hanno proposto i nuovi
edifici progettati per il futuro imminente; tipologie alte e basse che
prevedono soluzioni con l'orto in casa per una cucina ritornata ad
accorciare la filiera tra consumo e produzione. Il 2011 ci ha anche
regalato una bellissima stagione dell'arte, svolta in particolare negli
spazi poco istituzionali, dove l'incognita del nutrimento per tutti in
un pianeta sempre più affamato è anche in questo caso salita alla
ribalta, forse anche a causa del proclamato Expo 2015, di cui però
ancora poco si è parlato, che sarà ospitato a Milano.
E già, perché il tema proposto è "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita"...
ed inaspettatamente si ritorna a parlare di cibo e ambiente. Una
vendetta contro le multinazionali dell'alimentazione? Forse. Ma nel
passato 2011, sempre a Milano, una curiosa mostra d'arte si è
manifestata negli spazi della Galleria Bianconi, all'inizio della
primavera, subito dopo le fitte nebbie invernali ritornate a
soggiornare nei freddi inverni della metropoli meneghina.
Tra le tante dedicate al food questa mostra, ha saputo riaprire un
dialogo tra momenti di conoscenza differenti, diremmo multidisciplinari,
che gravitano attorno al tema dell'alimentazione e della cultura. Lo ha
fatto in una maniera simpatica ed un'impostazione di metodo capace di
coniugare le visioni di tre esperti: il cuoco Davide Oldani, l'artista
Vanni Cuoghi, il critico d'arte Igor Zanti.
”Vendetta! Un piatto che si gusta freddo”è una cena imbandita
nella Galleria con 12 pietanze +1, dove l'ingrediente principale è la
vendetta. I piatti sono stati progettati dallo stesso Oldani e dipinti
da Vanni Cuoghi con soggetti mitologici e di costume dove gli interpreti
invertono i loro ruoli storicizzati: da antagonisti a protagonisti e
viceversa. Tra questi Arianna e il Minotauro, il Papa e Catellan, Remo e
Romolo, e altri personaggi di acclamata notorietà. I piatti al loro
interno ospitano le materie prime di celebri ricette di Davide Oldani,
sospese in una “teca” di gelatina di brodo.
Come scrive il curatore Igor Zanti Igor Zanti, “La scelta di coinvolgere
due personalità così differenti, che si muovono in seno a media
creativi molto distanti tra loro, è motivata da una riflessione sulla
necessità di abbattere le tradizionali barriere tra i linguaggi,
necessità che è espressione ultima di una evidente e costante
rivoluzione che coinvolge la creatività contemporanea."
Vanni Cuoghi, Davide Oldani, Igor Zanti, intervistati nella primavera del 2011,
da Fortunato D'Amico, seduti al tavolo del D'O, il ristorante di Davide Oldani a Cornaredo.
da Fortunato D'Amico, seduti al tavolo del D'O, il ristorante di Davide Oldani a Cornaredo.
Fortunato D'Amico: Il tempo dell'arte è quello della cucina?
Vanni Cuoghi: L’arte contemporanea ha bisogno di più tempo, invece credo che la cucina sia un sistema di accesso immediato.
Igor Zanti: Si, ma come puoi giudicare un disegno e poi
confrontarlo con quello di una bambina? In ogni caso si tratta di
"raffinare il gusto".
Davide Oldani: Però il gusto ce l’abbiamo tutti, ed è già
dentro di noi; nel tempo lo puoi raffinare. Per quanto mi riguarda la
cucina è un’arte a termine: una volta che l’hai mangiata è finita. Un
quadro se persisti a guardarlo per anni, continui a trovargli nuovi
significati.
Vanni Cuoghi:La cucina suscita il ricordo. Per esempio
- rivolto a Davide Oldani - venni a mangiare qui nel tuo ristorante
quando ancora non ci conoscevamo e mi è rimasto un grande ricordo di
quella sera, naturalmente legato al cibo ed ai suoi sapori.
Certo, è qualche cosa che ha bisogno di essere rinfrescato; quando
assapori una cosa, è vero che è effimera, ma poi il tempo la consolida e
la radica nella memoria.
Igor Zanti: Quando mangi delle cose, queste ti riportano delle sensazioni.
Davide Oldani: Si se la cucina è buona... si; poi molte volte
ci si nutre e basta e quindi bisogna scindere le due cose. Comunque la
cucina è l’unica cosa che ti fa vivere, ti nutre, ti fa formare il
corpo, procreare; quindi è una cosa di cui usufruisci oppure la puoi
vivere con i ricordi, ma questo ti fa morire, perché muori di
fame...ahahah.
Questo quadro invece è un ricordo di cui so di non poter vivere, perche
non mi nutre, ma al contrario nutre e stimola l’intelligenza, le
sensazioni, le emozioni, tutte quelle cose che non hanno a che fare con
la bocca.
Fortunato D'Amico: L’arte visiva
sollecita i ricordi perché la vedi. L’arte olfattiva sollecita la
memoria. La scultura sollecita sia la parte visiva che quella tattile.
La musica sollecita l'udito. Tutte queste s’incontrano in un
certo punto: quello dove avete cucinato i vostri piatti della vendetta.
Possiamo pensare che l’arte sia una serie di percorsi di sensi?
Davide Oldani: Per quello che mi riguarda rimango dell’idea che
la mia è un’arte effimera. Posso fare la stessa cosa e provare in
giorni diversi, ma non ho mai lo stesso risultato. Ad esempio: se sono
stanco o sto bene percepisco nel mio palato più o meno il gusto salato.
Anche lo zucchero ha gusti o sapori che percepisci in relazione allo
stato d’animo; per questo dico che la cucina è un'arte effimera, perché
la cipolla caramellata che mangi oggi è forse peggiore di quella di
ieri, ma può essere migliore perché magari i ragazzi che cucinano stanno
meglio di ieri. Bisogna identificare cosa vuol dire arte. Per quello
che mi riguarda avvicinarmi all’arte è sempre stata una cosa davvero
strana perché ho sempre detto: la mia è arte effimera quindi non è
arte ma solo artigianalità; cucinare è una manualità costante che deve
essere pronta e sul pezzo quotidianamente.
Fortunato D'Amico: Ma allora tra un musicista e te che differenza c’è? Tra uno spartito e i tuoi piatti?
Davide Oldani: Il musicista mi dà sempre le stesse emozioni
perché se io ascolto il disco registrato riascolto la stessa musica
senza variazioni. E' così anche guardando un quadro anche se poi
probabilmente le impressioni nel tempo cambiano.
L'avvicinarmi all’arte è stato un episodio casuale; mi sono avvicinato
perché mi hanno servito sul piatto di porcellana una cosa "buona".
In questa occasione ho avuto l’idea di abbinare qualcosa de "La mia cucina Pop" (libro scritto da Oldani) al
piatto di giada “Land”, da me progettato con il piano del fondo
inclinato per poter raccogliere meglio le minestre. Così ho potuto
accompagnare Vanni Cuoghi in questo progetto; ma se avessi dovuto fare
l’ennesimo cuoco che deve parlare d'arte...
Igor Zanti:Lui (Davide Oldani) non vuole ammetterlo,
ma per quanto la cucina sia un arte effimera, ha un atteggiamento
artistico di progettualità e costruzione. In fin dei conti anche della
performance non rimane nulla: le sue sono performance. L’atteggiamento
con cui imposta la ricetta ha una movenza artistica e la divisione tra
arte e artigianato è una enunciazione solamente settecentesca approdata
con le enciclopedie. La cucina è sempre stata considerata un’arte come
lo è la pittura e l’alchimia.
Fortunato D'Amico: Vanni: decadute le committenze storiche, nell'epoca moderna fare il pittore è un mestiere quasi sempre da "solitari".
In questo caso, invece, il progetto prevedeva l'interazione
con altri linguaggi e scrittori di storie che sollecitano ulteriori
sensi, oltre a quello della vista. Un lavoro dove era indispensabile
confrontarti e modificare il proprio punto di vista.
Vanni Cuoghi: Nell'arte, si parte sempre da un'idea, ma in
corso d’operaricevi suggerimenti e sollecitazioni che ti portano a
modificare quello che stai facendo.In un progetto è l'idea che cerco di
applicare ma se le sollecitazioni mi propongono degli aggiustamenti di
rotta penso sia giusto seguirli. Il lavoro con Davide è nato anche in
questo modo.
Fortunato D'Amico: Ma qui il compito del pittore non era
facile. Dentro ogni piatto Davide ha messo dei materiali diversi, generi
alimentari in gelatine di brodo. Come avete fatto ad integrare i vostri
percorsi?
Vanni Cuoghi: Non sapevo cosa Davide mettesse in queste
gelatine ma la cosa meravigliosa è che un giorno quando è finita la
mostra, sono andato a fare un giro e ho visto queste gelatine e questi
materiali sospesi. Davide ha cominciato a raccontarmi come le aveva
create e così ho iniziato a vedere che nel piatto in cui c’era Remo che
si vendicava contro Romolo e si assisteva alla nascita di Roma, era
stata messo nel brodo di gelatina la puntarella. Mi sono detto:
"incredibile, che sia stato studiato o che sia finito lì per caso?". E'
un'altra storia. Io sono un ricercatore di storie e il lavoro con
Davide me ne ha suggerite tante. Credo che il progetto vada inteso così.
Fortunato D'Amico: Se le storie si raccontano ci vuole qualcuno che le ascolti; il cibo si cucina e c'è qualcuno che lo mangia?
Vanni Cuoghi:Io credo che l’artista che dice: "lavoro solo e per me stesso" sia un inganno.
In realtà l'arte è un linguaggio e nel momento in cui tu parli c’è un
emittente ed un ricevente. Poi ci sono delle situazioni in cui le
persone fanno delle cose per se stessi.
Fare i quadri per me significa qualcosa che faccio per me, ma che voglio che vengano visti da altri.
Fortunato D'Amico: Davide: come si cucina un quadro?
Davide Oldani: Non mi piace vedere il cuoco che fa il pittore,
artista nelle cose che non gli appartengono. Il progetto era quello di
mettere la stagionalità nel piatto, quindi in questi dodici abbiamo
messo dentro le stagioni. C’era ancora un piatto vuoto da riempire, è
quello che ho riservato al mio maestro Gualtiero Marchesi (...la mia
vendetta).
La vendetta più brusca è stata quella contro il galateo che consiglia di
avanzare qualcosa nel piatto: con l'inclinazione del piatto "Land" che
ho progettato è facile raccogliere con il cucchiaio tutto il brodo
della minestra senza avanzarne e senza dover alzare il piatto, gesto
assolutamente non accettato dal galateo.Questa parte del mio lavoro la
considero la parte artistica.
Fortunato D'Amico: Possiamo dire che è la parte etica?
Davide Oldani: Sull’etica in cucina sto preparando u libro…
Vanni Cuoghi: Però anche la posata che Davide ha progettato è
una posata etica, sono tre posate in una, cucchiaio, forchetta e
coltello, questo consente di risparmiare sulle stoviglie e sulla
lavastoviglie.
D: Faccio tutte queste cose per dare semplicità e non banalità al mio
ospite e quindi abbinarmi all’arte, cosa fino ad un anno fa impensata,
era proprio fuori dai miei canoni.
Fortunato D'Amico:Sono dodici piatti avete detto, ogni
piatto una vendetta, quindi ogni vendetta è associata ad una
stagionalità, come avete fatto a trovare questi rapporti?
Igor Zanti:E’ nata prima questa idea della vendetta, poi si è
unita quella dei dodici piatti, il cui riferimento è l’ultima cena e il
tredicesimo piatto bianco rappresenta la vendetta impossibile ovvero
Cristo che non si può vendicare, infatti la vendetta impossibile è il
perdono. Per Le dodici vendette abbiamo usato questa presenza storia e
religiosa, sei sono Ante Cristo e sei sono Post Cristo.
Abbiamo messo in mostra chiamiamole istallazioni di cibo in cui la
gelatina diventa la teca, quindi contestualizza l’elemento cibo
dall’essere solo cibo e abbiamo deciso di giocare sulla stagionalità
essendo una delle caratteristiche della cucina di Davide, facendola
diventare arte: non c’è stata violenza, anche non voluta da parte nostra
su Davide, lui ha fatto la sua arte nell’ambito della sua arte nella
sua dimensione, con i suoi codici, e non scimmiotta l’arte figurativa,
la scultura o altre arti.
Fortunato D'Amico:Il rapporto con la mitologia, Teseo e Arianna, come avete fatto ad inquadrarli stagionalmente?
Igor Zanti: Questa è stata una scelta di Davide di ispirazione
sugli ingredienti, abbiamo lavorato su due piani differenti, da una
parte la mitologia e il tema storico, dall’altra parte la scelta sulla
stagionalità, i quali si sovrappongono.
Davide Oldani:Ecco la parte un po’ meno pensata per quello che
mi riguarda è stata il fatto di aver messo i cibi in quel determinato
modo nei piatti, perché il mio intento era l’altro che ho spiegato poco
fa.
L’abbinamento l’ho accettato perche a me piace molto il surrealismo; ho
scoperto Salvator Dalì in cucina, sentendo parlare di questo artista da
due miei colleghi. Sono andato al museo, ho comprato i libri e ho capito
che persona incredibile fosse; è la crosta dell’io che mi piace, che
mangio tutti i giorni che tocco e cucino.
Vanni Cuoghi: Certo c’è da dire come nel surrealismo esisteva
questa immagine del cadavere squisito, venivano realizzati fogli in cui
si disegnava un pezzo e un'altra persona continuava il disegno senza
vederlo, solo sulla base di due o tre righe; alla fine quando si
srotolava il foglio si svelava l’opera, realizzata a 4, 6, e più mani.
Ecco, credo che la nostra collaborazione sia stata impostata in questi
termini. Io fatto una cosa legata al mio mondo, lavorando con la
maiolica che non ho mai usato prima d’ora; lui ha fatto il suo e alla
fine sono nate queste storie.
Ad esempio quella di San Giorgio e il drago dove Davide ha utilizzato
una coda di acciuga, ed ho pensato: “che meraviglia, c’è come un filo
invisibile che lega tutte le storie creandone altre e dando origine a
nuovi, cadaveri squisiti”.
Fortunato D'Amico: Davide, sei stato invitato anche
all'ultima Biennale d’Architettura a Venezia. Sei richiestissimo. A che
cosa attribuisci il tuo successo?
Davide Oldani: Vivo intensamente questa vita e le cose che mi
piacciono. Ricordo Gualtiero Marchesi che vent’ anni fa disse a mio
padre, il mio primo giorno di lavoro: “questi ragazzi sono come delle
spugne che assorbono, assorbono, assorbono e prima o poi cominceranno a
rilasciare”. Evidentemente è arrivato il momento in cui sto cominciando a
rilasciare tutto quello che ho imparato, non riesco a tenermi dentro
niente. Se ho in mente un idea non mi ferma nessuno; in un modo o
nell’altro ci devo arrivare: le sedie, il tavolo, quattro libri, tutto
questo l’ho fatto perché ci ho creduto. Probabilmente lo avevo dentro e
ora che non dipendo più da gli altri ho potuto fare tutto questo. Mi
piace molto osservare. Si cresce perché si guarda gli altri, i loro
comportamenti, i movimenti.
Sto preparando questo libro che interessa l’etica nel mondo della
cucina; non è un libro di ricette ma ha come intento di ripristinare i
valori che si sono persi. Per innovare è necessari stabilire un legame
etico con le proprie radici.
Fortunato D'Amico:Vanni:Come si coniugano estetica ed etica nell'arte?
Vanni Cuoghi: Per fare questo lavoro devi avere un’etica prima
nei tuoi confronti; se non sei profondamente innamorato di ciò che fai
forse non conviene neanche farlo. Io ho un passato come decoratore un
mestiere dove sei indirizzato dalle richieste della committenza. Certo
ci mettevi del tuo però molte volte dovevi fare delle cose anche
contrarie al tuo modo di intendere. Il motore propulsivo del lavoro
dell’artista è che devi essere innamorato, la pittura è un gesto
d’amore: se non hai questo tipo di spinta rischi di fare della
decorazione o qualcosa che magari può essere gradevole. Puoi essere un
grande ingannatore e raccontare agli altri che sei un bravo pittore, ma
la storia svelerà che in realtà stai raccontando una bugia; in termini
di etica e pittura questo deve essere il primo passo. Poi credo che un
artista debba essere onesto nei confronti delle persone che stanno
osservando e godendo della tua opera. Il primo passo è amare quello che
fai. Quando sei convinto di questo automaticamente c’è la traslazione,
ovvero: nel momento in cui qualcuno sta guardando la tua opera gli stai
dando un pezzo di te. Considero davvero i miei quadri i miei bambini, li
conosco uno per uno, so dove sono, e so dire misura, formato, titolo e
anno, perché sono venuti fuori da me.
Davide Oldani:Quando dici che si può mascherare decorando, lo
stesso è per i cuochi che utilizzano la decorazione, è un po’ un
vecchio metodo che ora si sta dissolvendo ma ci sono ancora cuochi che
usano i diminutivi in cucina, nelle ricette,e sono tutti quelli falsi,
che poi cadono.
Fortunato D'Amico: Sono esteti e non sono etici?
Davide Oldani: No neanche, un esteta vuol dire che premia la parte estetica
Fortunato D'Amico: Senza l’etica però, dovrebbe esserci
scritto "ex-etica". Come processo logico si deve prima passare
dall’etica e poi dall’estetica
Davide Oldani: Impari l’etica e poi fai l’estetica; prima la base solida e poi ti metti a decorare qualcosa che però è vero.
La mia diventa estetica perché prima è stata etica: nel mio piatto c’è
l’estetica attuale, infatti i piatti li decora la stagione. Se mangiate
qui nei piatti di oggi i piatti c’è in due terzi un verde appena chiaro e
qualcuno un po’più scuro; perché la primavera mi ricorda fave, piselli,
ortiche..tutti alimenti verdi. Se venite qui tra due mesi ci saranno
colori più rossi, più arancioni, un verde un po’ più intenso…cambia
l’estetica a seconda di quello che la stagione mi offre; non c’è
decorazione ma colore reale.
Vanni Cuoghi: Prima utilizzavi il termine “do”, che sarebbe io
do agli altri, e mi è tornata in mente la facciata della chiesa qui
davanti al tuo ristorante.
E’ una chiesa molto antica che si trova sulla via di congiunzione tra
Milano e Torino; sulla facciata della sono murate 4 coppelle, quelle 4
ciotole che si chiamano pattere; simboleggiavano i posti in cui si
accoglievano i pellegrini che si muovevano lungo questo pezzo della via
francigena e si dava loro un pasto caldo e un posto da dormire.
Fortunato D'Amico: La figura del critico dovrebbe avere una funzione diversa di quella adottata da molti dagli anni ottanta a oggi?
Igor Zanti: Basta cambiare il punto di vista, questo è un
discorso in generale in senso di critica, secondo me dagli anni ‘80 ad
adesso, ma anche dagli anni ‘60 c’è una scuola critica in cui si sono
impostati certi linguaggi, in cui c’è sempre stata paura di
semplificare, c’è la semplificazione, anche a livello tecnico, basta
leggere i testi dei critici degli anni ‘70 che parlavo di un’arte ancora
più criptica.
Bisogna cambiare semplicemente il punto di vista, non aver paura di non
essere intellettuali, perché talvolta si è più intellettuali quando non
si è intellettuali, quando si va alla radice delle cose e non si va
sulla costruzione. Davide parlava di decorazione del piatto: certe
letture critiche sono la decorazione dei piatti dell’arte, però talvolta
non c’è la pietanza. Il piatto, come diceva lui, si decora con gli
ingredienti, e qui l’ingrediente è l’arte, non devi usare la fogliolina
di menta o il pomodorino a forma di rosa per decorare il piatto, devi
usare gli ingredienti che sono nel piatto stesso e quindi basta cambiare
il punto di vista, semplicemente.